No amici, non sto parlando dell’ultima invenzione di una qualsivoglia famosa azienda leader nella costruzione di pedivelle! Sto parlando di una donna, della sua bicicletta e della sua voglia di pedalare.
Protagonista di oggi è Alfonsina, al secolo Alfonsa Rosa Maria Morini, la cui vita “sportiva” iniziò nel 1901, quando il padre le portò a casa una vecchia bicicletta. Alfonsina vide nel pedalare una vera passione, un modo di sfogarsi e di trovare la libertà, nonostante fosse uno sport praticato quasi unicamente da uomini.
Dopo aver vinto numerose corse di paese, all’età di diciassette anni, nel 1907, visitò da sola Torino, all’epoca città nella quale il ciclismo si era maggiormente radicato, e cominciò poi a gareggiare in corse più impegnative, arrivando persino a battere la famosa Giuseppina Carignano e guadagnandosi il titolo di “miglior ciclista italiana”.
Nel 1911 stabilì il record mondiale di velocità femminile, (37,192 chilometri l’ora!), e dopo aver vinto 15 lire, nello stesso anno traslocò a Milano, ormai divenuta la nuova capitale velocipedistica.
Qualche anno più tardi, nel 1917, si presentò alla redazione della Gazzetta dello Sport, il quotidiano organizzatore del Giro di Lombardia. Nessun regolamento le impediva di iscriversi: era la prima volta che l’emiliana partecipava ad una corsa su strada sfidando 42 atleti dell’altro sesso. Alfonsina completò tutti i 204 chilometri del tracciato, giungendo all’arrivo all’imbrunire, verso le cinque del pomeriggio, insieme ad altri due ciclisti, con un ritardo di un’ora e mezza dal vincitore. Venne classificata all’ultimo posto, ma almeno arrivò al traguardo: si ritirarono in venti.
L’anno seguente ci riprovò: 36 gli iscritti, tutti italiani, lei compresa. Durante la corsa poi abbandonarono 14 ciclisti, mentre lei, l’unica signora in gara, concluse ventunesima, a 23 minuti, addirittura battendo allo sprint il comasco Carlo Colombo. Ma l’obiettivo della “regina della pedivella”, questo uno dei suoi soprannomi, era ormai quello di partecipare al Giro d’Italia.
Il Giro d’Italia 1924
Tra le mille polemiche (strano, siamo in Italia!) che accompagnarono la vicenda, in una cultura che ancora separava nettamente uomini e donne, il direttore e l’amministratore della Gazzetta le permisero di iscriversi al Giro d’Italia. Fu quella probabilmente una scelta di carattere promozionale: per partecipare le squadre più prestigiose avevano chiesto delle ricompense in denaro (strano, siamo in Italia!), e dinnanzi al rifiuto degli organizzatori avevano deciso di disertare la corsa. Mancavano così campioni come Girardengo e Bottecchia; gli atleti si dovevano inoltre iscrivere a titolo individuale e la corsa rischiava di passare inosservata. Dopo qualche giorno di incomprensioni, volute o meno, e di notizie poco precise circa la partecipazione al Giro di una donna, solo alla partenza gli organizzatori chiarirono la sua vera identità: in breve la notizia si diffuse in tutta Italia, creando curiosità e disapprovazione al tempo stesso. 90 corridori al via, per un totale di 3600 km circa, strade non asfaltate, bici che pesavano 20 kg e cambio di velocità assente! Ad Alfonsina riusciva molto difficile sostenere il passo dei colleghi maschi, ma ogni volta riuscì a tagliare il traguardo di tappa, seppur con alcune ore di ritardo, e fermandosi spesso a distribuire cartoline autografate ai tifosi (idolo!).
Durante la tappa, durissima, L’Aquila-Perugia, giunse fuori tempo massimo, anche per colpa di numerose cadute e forature. La decisione iniziale della giuria fu spietata: Alfonsina esclusa dal Giro, (forse perché osava sfidare degli uomini e a volte addirittura a batterli!). Alla fine prevalse il buon senso: la Strada poteva prendere parte a tutte le restanti tappe, ma i suoi tempi non sarebbero stati conteggiati ai fini della classifica.
A conclusione di una tappa, a Fiume, Alfonsina giunse con venticinque minuti di ritardo, causa caduta e ferita. Ma nessuno lasciò le tribune prima del suo arrivo: tutti volevano vedere questa donna eccezionale, che arrivò piangendo, ma che venne osannata dalla folla ed acclamata come i più grandi campioni.
Alfonsina continuò a seguire il Giro fino a Milano, e completando la corsa con altri soli 29 dei 90 uomini partiti!
Nonostante il maschilismo ancora imperante le impedì di partecipare nuovamente al Giro, Alfonsina si tolse molte soddisfazioni, vincendo ben 36 corse contro colleghi maschi e conquistando la stima di numerosi ciclisti celebri, tra cui Costante Girardengo.
Malgrado sia lei la “bellezza in bicicletta” cantata negli anni 50, l’Italia e il mondo sportivo l’hanno dimenticata in fretta.
A ricordare le sue imprese, segnaliamo il libro scritto nel 2004 da Paolo Facchinetti,“Gli anni ruggenti di Alfonsina Strada – Il romanzo dell’unica donna che ha corso il Giro d’Italia assieme agli uomini“ – Edicicloeditore, ed una canzone dei Têtes de Bois, “Alfonsina e la bici”, inserita nell’album “Goodbike” e da cui è stato tratto un video diretto da Agostino Ferrente.