Ciao a tutti. Mentre scrivo, cerco di convincermi della bontà e utilità di quello che scrivo. Anzi, sono convinto di bontà e utilità, ma rimane comunque un piccolo spiraglio di rassegnazione che ti porta a pensare: tanto non succederà mai, non saremo mai così. Ma mi piace ogni tanto dare qualche numero, per avere e farvi avere il polso della situazione di quanto accade nel resto d’Europa.
Ho letto che uno studio dell’OMS Divisione Europa, “Unlocking new opportunities: jobs in green and healthy transport”, afferma che se tutta l’Europa prendesse esempio da Copenhagen, dove il 26% dei tragitti in città avvengono in bicicletta (36% dei tragitti casa-lavoro e casa scuola), si potrebbero avere quasi 10 mila morti in meno ogni anno, e allo stesso tempo verrebbero creati oltre 76 mila posti di lavoro. E mi ricordo che veramente Copenaghen è una città spettacolo per i ciclisti.
Certo, è facile farsi prendere dall’ottimismo dei grandi numeri, ma è altrettanto vero che se non ci si mette in moto, o ai pedali in questo caso, la situazione non cambierà mai e staremo solamente a lamentarci di quello che sarebbe potuto essere, e non lo è stato.
Dunque, esperti in materia hanno immaginato quali influssi positivi, sulla salute dovuti all’uso delle biciclette e su quanti posti di lavoro nella loro vendita e manutenzione, oltre che nella progettazione e realizzazione delle piste ciclabili, potrebbero crearsi se le maggiori città europee adottassero un modello di mobilità sostenibile “a misura di bicicletta” simile a quello presente a Copenaghen. Si arriverebbe ad avere cittadini più sani (più attività fisica, meno incidenti stradali e rumore e migliore qualità dell’aria), quasi 77 mila posti di lavoro in più e più di 9 mila morti in meno sulle strade, ogni anno. Per l’Italia è stata presa in considerazione la città di Roma, che potrebbe da sola creare oltre 3 mila impieghi evitando 154 casi di morte l’anno.
Una nuova mobilità, concentrata sull’utilizzo dei mezzi pubblici, la pedonalizzazione dei centri urbani e l’uso della bicicletta per gli spostamenti quotidiani, appare sostenibile sia sotto il profilo economico (i trasporti nazionali gravano come circa il 4% del PIL europeo), sia sotto quello dell’impatto su ambiente e salute (i trasporti su strada sono responsabili del 17,5% di tutte le emissioni di gas a effetto serra in Europa, e sono ben 70 milioni le persone che in tutta Europa sono costrette a subire livelli eccessivi di rumore per colpa del traffico).
Il pizzico di rassegnazione iniziale era dovuto alla situazione del presente italiano. Alcuni di voi potranno pensare: guarda, adesso in Italia ci sono ben altri problemi rispetto a quello della mobilità sostenibile! Potrei rispondere che tutto fa brodo, oppure che se mi occupassi di altri problemi “più seri e grandi”, forse non sarei qui, ma scriverei per qualche testata giornalistica (ammesso che chi scriva sulle testate giornalistiche sappia veramente cosa scriva, e non riporti solo un’enorme marea di c…e!). Ma tantè.
L’Italia è il secondo Paese più motorizzato d’Europa, con 609 autovetture ogni mille abitanti, e per quanto riguarda le piste ciclabili, le città italiane rimangono ancora molto indietro rispetto alle capitali europee: fatevi un’idea pensando che tre sole città (Helsinki con 1.500 km, Stoccolma e Hannover con 750 km ciascuna) quasi eguagliano i circa 3.300 km di tutti i capoluoghi di provincia italiani! Ma come siamo messi????
Qualche segnale di incoraggiamento a volte si trova, vedi adesioni varie alle Settimane europee della mobilità sostenibile, la costituzione di un gruppo parlamentare misto per la mobilità ciclistica che, di concerto con il ministero dei Trasporti e il Governo, sta lavorando a diverse proposte, quali la riscrittura della legge sulle piste ciclabili, una riforma complessiva del Codice della strada che consideri la bicicletta e i piedi come mezzi di trasporto urbani da valorizzare, il riconoscimento dell’infortunio in itinere o l’emanazione di una legge quadro nazionale sulla ciclabilità.
Quindi forse le idee ci sono anche: speriamo che parlarne, divulgarle o perché no, l’essere invidiosi di qualche altro Paese, possa servire e portare a realizzarne almeno qualcuna.
E comunque, mentre leggerete queste parole, sappiate che vorrei essere su una bicicletta. In un qualunque posto, ma su una bicicletta.