Biker for Ever

Biker for Ever

Un caro amico, un compagno di avventure e di uscite, abbiamo condiviso un paio di 24h in squadra a Finale Ligure, spesso negli allenamenti ci incrociamo sui sentieri di Roasio e spesso li percorriamo assieme come due bambini giocano nel loro parco giochi preferito, Fabrizio Bocca, un biker vecchio stile, di quelli dello zoccolo duro e delle prine notturne con le prime lampade alogene, altro che led!

Fabri ha corso una marea di Gran Fondo, e quando dico una marea intendo davvero tante, dalla bitumara alla mtb, poi ha preso il giro delle gare a tappe, con il Rally di Sadegna, il Rally d Romagna e infine ha coronato un sogno, quello di correre la mitica e cattiva “Craft bike Transalp”, ma lasciamo raccontare a lui questa incredibile avventura  che ha condiviso con l’amico Loca!

“Il volantino recita: la corsa a tappe in mountain bike più dura del mondo.”

“La Craft bike Transalp powered by Nissan, per usare l’altisonante nome ufficiale, è una corsa a tappe di 8 giorni, che partendo dal sud della Germania, nel 2011 precisamente da Mittenwald (nei pressi di Garmisch), arriva sempre a Riva del Garda. Ogni anno un percorso diverso, ogni anno più duro. Tanta gente da ogni parte del mondo, nel 2011 ben 37 le nazioni rappresentate.

Si corre a coppie (600, quindi 1200 bikers), a quanto pare per motivi di sicurezza visto i percorsi alpini. Una situazione invero affascinante, in cui è necessario sorreggersi e sopportarsi, ed avere un buon affiatamento. Si dice che la maggior parte delle coppie dopo la Transalp non si rivolga più la parola…

Si parte ogni mattina in linea, in griglia, come in una comune granfondo e si corre a tutta sempre, per ore. Sembra che tutti debbano arrivare primi ad ogni chilometro, si spinge, si sorpassa, si urla, dimenticando completamente che ci sono mai meno di 4 ore, spesso 6, di MTB durissima davanti (a meno che non si sia un pro, e si sia in grado di andare a 25 kmh di media…).

La Transalp si può dormire in Camp, sacco a pelo a terra in palestra e code per tutto, oppure in hotel, con l’organizzazione che ti sposta il borsone (rigorosamente fornito da loro e che deve contenere tutto) da un luogo all’altro. Noi abbiamo scelto questa versione, e lo rifarei sempre.

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La giornata.

6.25: sveglia. 6.30: colazione, mangi come un ossesso e inizi subito ad avere la nausea. 7.00: consegna tassativa borsone alla reception dell’hotel. Dalle 7.00 alle 8.00: sul letto a guardare le previsioni del tempo austriache. 8.00: vestizione, con paranoie assortite per il tempo sempre diverso. 8.30: in bici, andiamo in griglia. 9.00: con sempre “Highway to Hell” a palla, si parte, come detto sempre e solo a tutta. Tra le 14.00 e le 15.00: si arriva al traguardo, devastati e si ingurgita qualsiasi cosa si riesca a trovare. Fino alle 16.00: coda per il lavaggio bici continuando a mangiare e bere come assatanati. Dalle 16,30 alle 18,00: si raggiunge l’hotel (spesso a qualche km di distanza), ci si lava e ci si mette a letto cercando di riposare. 18.30: pasta party, premiazioni, foto e film della tappa, applausi e tutti contenti. 20.00: due passi e gelatino per le vie del paese che ci ospita. 21.30: a letto e nanna appena arriva il sonno.

Mai una variazione, mai nulla di diverso. Tutto molto tedesco, preciso, organizzato. Di fondo la fame immensa, assurda e costante, e al contempo la nausea per il troppo cibo ingurgitato e poco familiare. Ma anche le amicizie con gli altri italiani, la condivisione delle emozioni, le pacche sulle spalle.

Le tappe.

Come detto sono 8. Nel 2011 per fare 670 km di sentieri di montagna con la bellezza di 21700 metri di dislivello. Che se si fa fare le divisioni come alle elementari, fa quasi 3000 metri di salita al giorno, senza respiro e senza tregua. Più di una nostrana marathon, circa come una Dolomiti Superbike o un SellaRonda Hero al giorno. Chi le ha fatte può capire facilmente…

Primo giorno: da Mittenwald (Germania) a Weerberg (Austria): c’è il sole, freddino ma piacevole: tensione assurda, primi km in piano di autentica lotta spalla a spalla, 3 salite in 95 km con 2350 metri da scalare. Panorami mozzafiato, percorso scorrevole, inizio a capire quanto si mena sulle ciclabili in gruppo (incubo costante dei giorni a venire), crisi sulla salita finale dell’arrivo. Siamo 48esimi su 180 partiti nei Master Men.

Secondo giorno: da Weerberg (Austria) a Mayrhofen (Austria): ancora sole, e vento, mi scotto in quota a 2200 metri le braccia. Tappa con tre salitoni infernali, 3000 di dislivello in soli 69 km. Faccio la terza salita in coma, siamo 44esimi di tappa e 46esimi nella classifica.

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Terzo giorno: da Mayrhofen (Austria) a Bressanone (Italia): piove a dirotto, nuvole basse che lasciano intravedere la neve fresca sulle montagne. Fa freddo e ci si copre come si riesce con domo pack, sacchi di plastica ecc, si mette un ricambio asciutto nello zainetto e si prega. Sono 96 km con una sola lunghissima salita per 2200 metri di dislivello. Nonostante la molta neve fresca che obbliga per 40 minuti al portage, stiamo bene e non congeliamo. Siamo 32esimi di tappa.

Quarto giorno: da Bressanone a San Vigilio di Marebbe: sole e freddo, tappa Moloch di questa edizione, con 3500 metri abbondanti di dislivello da scalare in soli 73 km. Sull’ultima salita durissima, entro in crisi di fame, divento nervoso e mi pianto vergognosamente. Arrivo stremato e distrutto, credo si sia 61esimi di giornata, ma manco guardo più le classifiche. Penso solo a mangiare e dormire

Quinto giorno: da San Viglio ad Alleghe: piove di nuovo fortissimo, c’è vento e freddo tremendo. La preoccupazione si mescola con lo scoramento. Abbiamo due salite tremende da fare, e sulla prima nevica ghiacciato e c’è vento, così che congeliamo letteralmente. Piango e urlo, penso seriamente sia arrivata la mia fine. Mai avuto tanta paura di rimanerci secco in vita mia. A metà tappa, fradici e congelati, passiamo per Cortina e ci buttiamo in un hotel, dove per mezz’ora cerchiamo di riprendere i sensi e ci cambiamo. Ripartiamo e dopo manco mezz’ora scopriamo che la tappa come tempi finisce lì, in quanto la salita al Rifugio Averau (oltre 2400 mt) è impraticabile e pericolosa: A saperlo non si perdeva sto tempo e non si finiva 110 esimi di tappa. Malediciamo l’organizzazione che dice sempre e solo tutto in tedesco e male. Ma non basta: per noi e tutti quelli senza un furgone al seguito, si fa il Falzarego su asfalto e poi si scende per 30km ad Alleghe, sempre con temperature nei dintorni dello zero. All’arrivo mi butto a terra e piango, voglio tornare a casa, la gente passa e mi chiede “come stai, chiamo un medico?”

Sesto giorno: da Alleghe a San Martino di Castrozza: non so dove prenda la forza per ripartire, se nella salsiccia serale o se nello sguardo del Loca. Morale mi ficco 76 km con 3100 e rotti di dislivello, con il sole e un po’ di grandine finale, ma riuscendo incredibilmente a divertirmi: singletrack, fango, passaggini tecnici, la scalata al Lusia, una meraviglia, amo ancora la MTB. Peccato per un errore di percorso che ci fa perdere un 15 minuti ed uscire dai 50 di tappa.

Settimo giorno: da San Martino a Trento, tappone dell’anno con i suoi 123 km e 2600 metri di salite da scalare. C’è il sole, dai che si va. La salita è infinita, ma la vera crisi sono i 30 e rotti km di ciclabili per arrivare all’ultimo strappo che ci lancia su Trento: vanno tutti come moto e si scatta di continuo, mi sento morire, Loca si incazza pure che non vado avanti e voglio mollare il gruppone. Pace, è andata anche questa e siamo nei 50 di tappa.

Ottavo giorno: da Trento a Riva del Garda: piove ancora, anche oggi che è l’ultimo giorno, ma si sale solo a 1000 metri di quota e quindi il morale non molla. E’ l’ultima, si naviga sul fango e sulla pietra viscida, mi sento a casa e meno come un fabbro. Saremo infatti 36esimi di tappa, alla grande e in piena euforia agonistica ed emotiva. Urliamo contro questi colossi di nordici con una gamba spaventosa ma lenti e impacciati sul tecnico, e li passiamo come moto. Gli ultimi 20 km dei 77 di tappa (con 2100 metri di dislivello anche oggi) volano in gruppo sulle ciclabili prima del Garda e poi è solo il traguardo, le urla liberatorie, le lacrime nelle braccia della famiglia, l’apoteosi

Alla fine siamo 46 esimi nei Marter Men dopo 8 giorni all’inferno. Ma soprattutto siamo Finisher, orgogliosamente Finisher.

Il percorso e l’organizzazione.

La Transalp non è una gara perfetta. Non potrebbe esserlo dovendo accontentare bikers molto diversi tra loro. C’è molto asfalto, è vero, soprattutto sotto forma delle infernali piste ciclabili, tutte curve e rilanci che si volano in gruppo a 40 l’ora con sofferenze atroci. Ma è anche singletrack, strade in quota, portage, tutto insomma. Perché qua si deve essere completi, saper fare tutto. Pensandoci bene è il suo bello.

Il percorso è duro, ma diventa durissimo per due motivi: il meteo e l’agonismo sfrenato, in quanto si è in tanti, tantissimi. Fossimo 100 partenti sarebbe molto meno impegnativo. Paesaggi mozzafiato, ma sinceramente non li si guarda più di tanto a parte il primo giorno, troppa fatica.

Ci sono delle pecche: innanzitutto manca totalmente la Coca-Cola ai ristori, che è il toccasana del biker. Sempre e solo banane, mele, pomodorini, cetrioli, arance, barrette spezzate, Sali iso e acqua.

Il cibo serale è spesso buono, ma ogni tanto ci sono momenti assurdi: ad Alleghe surgelati c’era l’anguria (!!) e a Trento con 30 gradi il thé caldo…

Solo due ristori al giorno e per il resto sono fatti tuoi: qua si stimola l’autonomia del biker, quindi se a 2400 metri nevica non trovi qualcuno che ti da una mano, o ti sai arrangiare o ci rimani. Sono tedeschi, e loro non patiscono nulla. Mentre scendevo urlando dal dolore alle mani con un principio di assideramento ho visto passare a fianco a me gente in tenuta estiva che non faceva una piega. Altra razza, massimo rispetto.

Quello che veramente ti lascia senza fiato è la coscienza di essere parte di un evento pazzesco: partenza e arrivo sono momenti colossali, sembra di essere allo stadio, gente ovunque, musica, area expo, applausi e grida. In quota capita spesso di essere tra gente che ti applaude e ti incita, soprattutto in Austria e Germania dove chiunque corra la Transalp è visto come un eroe. Ci si emoziona, ci si gasa, ci si commuove.

E poi vedi e conosci personaggi visti solo sulle riviste, dai pro ufficiali a che so, un Gary Fischer che si fa fare la foto con te per le vie di Mayrhofen….

Sono passati otto giorni e finalmente la fatica ha lasciato il posto al ricordo. Non so se troverò mai il coraggio di rifarla, ma è certo che qualsiasi evento ormai sembrerà minore ripensando a quei momenti in griglia ascoltando Highway to Hell con il cuore in gola, e a cosa ho provato all’arrivo, quando ho buttato via la mia amatissima Niner per gettarmi letteralmente nelle braccia di mia moglie e dei miei figli, piangendo….

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Chi siamo:

Il team Fabri&Loca – Bike&More 10 si è alla fine classificato 173° assoluto su 600 partenti e 46° su 180 partenti nella categoria Master (oltre 80 anni a coppia).

Fabrizio Bocca (vercellese) classe 1966, e Marco Locatelli (milanese) classe 1967, in sella rispettivamente a una Niner Air 9 Carbon e a una Niner Air 9. Quindi 29er maniac…nessuno sponsor, solo una passione totale che continua sempre nuova nonostante oltre 15 anni di granfondo e corse a tappe.”

Fabri and Loca

Se volete seguire le sue avventure: http://fabribiker.blogspot.it

Manuel72